Ricorso  della  Provincia  autonoma  di  Trento  (codice  fiscale
00337460224), in persona del Presidente della Giunta provinciale  pro
tempore Lorenzo Dellai, autorizzato con  deliberazione  della  Giunta
provinciale 28 ottobre  2011,  n.  2281  (doc.  1),  rappresentata  e
difesa, come da procura speciale n. rep. 27620 del  2  novembre  2011
(doc. 2), rogata dal  dott.  Tommaso  Sussarellu,  Ufficiale  rogante
della Provincia, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (codice  fiscale
FLCGDM45C06L736E) di Padova,  dall'avv.  Nicolo'  Pedrazzoli  (codice
fiscale PDRNCL56R01G428C) dell'Avvocatura della Provincia di Trento e
dall'avv. Luigi Manzi (codice fiscale MNZLGU34E15H501Y) di Roma,  con
domicilio eletto in Roma nello studio di questi in via  Confalonieri,
n. 5, 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale: 
        dell'articolo 2, comma 3, ultimo  periodo,  e  comma  36,  se
ritenuti applicabili alla Provincia; 
        dell'articolo 14, comma 2, 
        del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138,  convertito  nella
legge  14  settembre  2011,  n.  148,  Conversione  in   legge,   con
modificazioni, del decreto-legge 13  agosto  2011,  n.  138,  recante
ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per  lo
sviluppo.  Delega  al   Governo   per   la   riorganizzazione   della
distribuzione sul  territorio  degli  uffici  giudiziari,  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 216 del 16 settembre 2011; 
    Per violazione: 
        degli articoli 8, n. 1, 47 e 48 dello Statuto speciale; 
        del Titolo VI dello Statuto speciale, e in particolare  degli
articoli 75 e 79; 
        degli articoli 103, 104 e 107 del medesimo Statuto speciale; 
        delle relative norme di attuazione, tra le quali  il  decreto
legislativo 16 marzo 1992,  n.  266  (in  particolare,  art.  2),  il
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare articoli 9,
10 e 10-bis), ed il d.P.R. 15 luglio 1988, n. 305; 
        dell'art. 117, commi 3 e 6,  Cost.,  dell'art.  119  Cost.  e
dell'art. 10, legge Cost. n. 3/2001; 
        nonche'   dei   principi   di    leale    collaborazione    e
ragionevolezza, 
per i profili di seguito illustrati. 
 
                              F a t t o 
 
    Il  presente  ricorso  riguarda   due   distinti   ambiti   delle
disposizioni  di  cui  al  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.  138,
convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148: da  un  lato  -  se
ritenute applicabili alla Provincia - le  disposizioni  dell'art.  2,
comma 3, ultimo periodo, e comma 36, relative alla riserva all'erario
statale  delle  maggiori  entrate  derivanti  dal   decreto   stesso,
dall'altro l'applicazione alla Provincia autonoma delle  disposizioni
dell'art. 14, comma 1, relative ai consiglieri regionali e  ad  altri
aspetti dell'organizzazione regionale, nei termini  in  cui  essa  e'
disposta dal comma 2 dello stesso articolo. 
    Quanto alla riserva delle entrate all'erario, conviene  in  primo
luogo ricordare lo speciale regime  di  autonomia  finanziaria  della
Provincia autonoma  di  Trento,  disciplinato  dal  Titolo  VI  dello
Statuto di autonomia. 
    In particolare, l'art. 75 stabilisce che  «sono  attribuite  alle
province le seguenti quote del gettito  delle  sottoindicate  entrate
tributarie   dello   Stato,   percette   nei   rispettivi   territori
provinciali: a) i nove decimi delle imposte di registro e  di  bollo,
nonche' delle tasse di concessione governativa; ... c) i nove  decimi
dell'imposta sul consumo dei tabacchi per  le  vendite  afferenti  ai
territori delle due province; d)  i  sette  decimi  dell'imposta  sul
valore aggiunto, esclusa quella relativa all'importazione ...;  e)  i
nove   decimi   dell'imposta    sul    valore    aggiunto    relativa
all'importazione  determinata  assumendo  a  riferimento  i   consumi
finali; f) i nove decimi del gettito dell'uccisa sulla benzina, sugli
oli da gas per autotrazione e  sui  gas  petroliferi  liquefatti  per
autotrazione erogati dagli  impianti  di  distribuzione  situati  nei
territori delle due province, nonche'  i  nove  decimi  delle  accise
sugli altri prodotti energetici ivi consumati; g) i  nove  decimi  di
tutte le altre entrate  tributarie  erariali,  dirette  o  indirette,
comunque  denominate,  inclusa  l'imposta  locale  sui  redditi,   ad
eccezione di quelle di spettanza regionale o di altri enti pubblici». 
    Accanto a tale  attribuzione  di  entrate,  il  titolo  VI  dello
Statuto regola anche altri profili dell'autonomia  finanziaria  della
Provincia autonoma:  e  per  molti  di  tali  profili  la  disciplina
statutaria e' stata da poco  modificata  per  meglio  armonizzare  la
speciale autonomia della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province
autonome di Trento e di Bolzano  con  le  esigenze  della  situazione
finanziaria dello Stato italiano,  anche  nel  quadro  degli  impegni
assunti nell'ambito dell'Unione europea, e  per  tenere  conto  delle
esigenze  di  solidarieta'  derivanti  anche  dalla  attuazione   del
«federalismo fiscale», quale prefigurato dalla legge di delega n.  42
del 2009. 
    Le modifiche hanno formato oggetto di uno specifico  accordo  tra
lo Stato e la Regione e le Province autonome, e sono state  adottate,
con  la  procedura  di  cui  all'art.  104  dello  Statuto  speciale,
attraverso l'art. 2, commi da 107 a 125, della legge n. 191 del 2009. 
    In particolare, il comma 107, lett. h) della legge n. 191/2009 ha
introdotto un nuovo testo dell'art. 79 dello Statuto,  il  quale  ora
stabilisce al comma 1 che «la regione e  le  province  concorrono  al
conseguimento degli obiettivi di perequazione  e  di  solidarieta'  e
all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche'
all'assolvimento  degli  obblighi  di  carattere  finanziario   posti
dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle
altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite  dalla
normativa statale» nei modi che di seguito sono elencati e descritti. 
    Il comma 2 dell'art. 79 aggiunge che «le misure di cui al comma 1
possono essere modificate esclusivamente con  la  procedura  prevista
dall'art. 104 e fino alla loro eventuale modificazione  costituiscono
il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1». 
    Il comma 3 dispone poi che, «al fine di  assicurare  il  concorso
agli  obiettivi  di  finanza  pubblica,  la  regione  e  le  province
concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi
relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai  saldi  di
bilancio da conseguire in ciascun periodo». 
    Il comma  4  ribadisce  che  «le  disposizioni  statali  relative
all'attuazione degli obiettivi di  perequazione  e  di  solidarieta',
nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di  stabilita'
interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle
province e sono in  ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal
presente articolo». 
    Infine, per i  rapporti  con  le  norme  statali  che  non  siano
direttamente misure di finanza pubblica, lo stesso  comma  4  precisa
che  «la  regione  e  le  province  provvedono  alle   finalita'   di
coordinamento  della  finanza  pubblica   contenute   in   specifiche
disposizioni  legislative   dello   Stato,   adeguando   la   propria
legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4
e 5», cioe' secondo le regole ordinarie dei rapporti tra legislazione
provinciale e legislazione statale. 
    Le previsioni del sopra citato art. 75 dello Statuto  sono  state
completate e meglio definite dalle norme  di  attuazione  di  cui  al
d.lgs. n. 268/1992. Per quanto qui rileva, l'art. 9 di  tale  decreto
dispone che «il gettito derivante  da  maggiorazioni  di  aliquote  o
dall'istituzione di  nuovi  tributi,  se  destinato  per  legge,  per
finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma
1, lettera b), dell'art. 10-bis, alla copertura, ai  sensi  dell'art.
81 della Costituzione, di nuove specifiche  spese  di  carattere  non
continuativo che non rientrano  nelle  materie  di  competenza  della
regione o delle province, ivi comprese quelle  relative  a  calamita'
naturali, e' riservato  allo  Stato,  purche'  risulti  temporalmente
delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale
e quindi  quantificabile»;  si  aggiunge  poi  che  «fuori  dei  casi
contemplati nel presente articolo si applica  quanto  disposto  dagli
articoli 10 e 10-bis». 
    L'art. 10 regola la quota variabile  di  cui  all'art.  78  dello
Statuto (la cui soppressione, disposta dalla legge n. 191  del  2009,
fa parte del contributo  delle  Province  autonome  al  conseguimento
degli obbiettivi di perequazione e  di  stabilita')  ed  il  comma  6
stabilisce  che  «una  quota  del  previsto  incremento  del  gettito
tributario,   escludendo   comunque    gli    incrementi    derivanti
dall'evoluzione  tendenziale,  spettante  alle  province  autonome  e
derivante dalle manovre correttive di finanza pubblica previste dalla
legge finanziaria e dai  relativi  provvedimenti  collegati,  nonche'
dagli altri provvedimenti legislativi aventi le medesime finalita'  e
non considerati ai fini della  determinazione  dell'accordo  relativo
all'esercizio finanziario precedente, da  valutarsi  al  netto  delle
eventuali   previsioni   di   riduzione   di   gettito    conseguenti
all'applicazione  di   norme   connesse,   puo'   essere   destinata,
limitatamente agli esercizi previsti dall'accordo, al  raggiungimento
degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica  previsti  dai
precedenti provvedimenti». 
    A sua volta, l'art. 10-bis dispone che «entro la data di  cui  al
comma 2 dell'art. 10 e' altresi' definito l'accordo tra il Governo  e
il presidente della giunta regionale che individua: a)  la  quota  da
destinare al bilancio dello Stato del gettito tributario derivante da
maggiorazioni di aliquote di  tributi  o  dall'istituzione  di  nuovi
tributi, se destinato per legge alla copertura, ai sensi dell'art. 81
della Costituzione,  delle  spese  di  cui  all'art.  9,  qualora  il
predetto  gettito  non  risulti  distintamente   contabilizzato   nel
bilancio dello Stato, ovvero temporalmente delimitato; b) l'eventuale
quota delle spese derivanti  dall'esercizio  delle  funzioni  statali
delegate alla regione, che rimane a carico del bilancio della regione
medesima, in relazione alle disposizioni di cui al comma 6  dell'art.
10, da determinarsi nei limiti del previsto  incremento  del  gettito
tributario derivante dalle manovre correttive  di  finanza  pubblica,
nonche' tenuto conto della quota di cui alla lettera a)». 
    Sulla base di tali premesse e regole, la  Provincia  autonoma  di
Trento deve contestare - almeno in via cautelativa, come  di  seguito
meglio si dira' - la legittimita' costituzionale dei  commi  3  e  36
dell'art. 2 del d.l. n. 138/2011, inserito nel Titolo I, Disposizioni
per la stabilizzazione finanziaria, che detta Disposizioni in materia
di entrate. 
    Il comma 3 riguarda le entrate derivanti da giochi pubblici. 
    Esso statuisce in primo luogo che «il Ministero  dell'economia  e
delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli  di  Stato  ...
emana tutte le disposizioni in materia di giochi  pubblici  utili  al
fine di assicurare maggiori entrate, potendo tra  l'altro  introdurre
nuovi giochi, indire nuove lotterie, anche ad estrazione  istantanea,
adottare nuove modalita' di  gioco  del  Lotto,  nonche'  dei  giochi
numerici a totalizzazione  nazionale,  variare  l'assegnazione  della
percentuale della posta di gioco a montepremi  ovvero  a  vincite  in
denaro, la misura del prelievo erariale unico, nonche' la percentuale
del compenso per le attivita' di gestione ovvero per quella dei punti
vendita». 
    Esso   stabilisce   inoltre   che    «il    Direttore    generale
dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato puo' proporre  al
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  di  disporre  con  propri
decreti,  entro  il  30  giugno  2012,   tenuto   anche   conto   dei
provvedimenti di variazione delle tariffe dei prezzi  di  vendita  al
pubblico dei tabacchi lavorati eventualmente  intervenuti,  l'aumento
dell'aliquota di base  dell'accisa  sui  tabacchi  lavorati  prevista
dall'allegato I al decreto legislativo 26  ottobre  1995,  n.  504  e
successive modificazioni». 
    Infine, esso precisa che  «l'attuazione  delle  disposizioni  del
presente comma assicura maggiori entrate in misura  non  inferiore  a
1.500 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2012» e di  seguito
dispone che «le maggiori entrate derivanti dal  presente  comma  sono
integralmente attribuite allo Stato». 
    Dunque, quest'ultima norma riserva integralmente  allo  Stato  le
maggiori  entrate  derivanti  dall'aumento  dell'aliquota   di   base
dell'accisa sui tabacchi lavorati. 
    Mentre il comma 3 ha lo specifico oggetto  sopra  illustrato,  il
comma 36 dell'art.  3  si  riferisce  a  tutte  le  maggiori  entrate
derivanti dalle disposizioni del d.lgs. n. 149 del 2011, come  quelle
derivanti dall'art. 1, comma 6, dall'art.  2  (che  -  ad  esempio  -
introduce il contributo di solidarieta' e aumenta l'aliquota  IVA  al
21%) e dall'art. 7. 
    In termini generali,  infatti,  esso  dispone  che  «le  maggiori
entrate derivanti dal presente decreto sono riservate all'Erario, per
un periodo  di  cinque  anni,  per  essere  destinate  alle  esigenze
prioritarie di raggiungimento degli  obiettivi  di  finanza  pubblica
concordati in sede europea,  anche  alla  luce  della  eccezionalita'
della situazione economica internazionale»,  aggiungendo  in  termini
attuativi che «con apposito decreto  del  Ministero  dell'economia  e
delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata
in vigore della legge  di  conversione  del  presente  decreto,  sono
stabilite  le  modalita'  di  individuazione  del  maggior   gettito,
attraverso separata contabilizzazione». 
    Ancora, il comma 36 prevede che, «a partire  dall'anno  2014,  il
Documento di economia  e  finanza  conterra'  una  valutazione  delle
maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attivita'  di
contrasto all'evasione», e di seguito  dispone  che  «dette  maggiori
entrate, al netto di quelle necessarie al mantenimento  del  pareggio
di bilancio ed alla riduzione del debito, confluiranno  in  un  Fondo
per la  riduzione  strutturale  della  pressione  fiscale  e  saranno
finalizzate  alla  riduzione  degli  oneri  fiscali  e   contributivi
gravanti sulle famiglie e sulle imprese». 
    Anche il comma 36, dunque, riserva allo Stato le maggiori entrate
di natura tributaria risultanti o dalle  nuove  norme  contenute  nel
decreto o dalla lotta all'evasione. 
    Peraltro, l'art. 19-bis dello stesso d.l. n. 138/2011 dispone che
«l'attuazione delle disposizioni del presente decreto nelle regioni a
statuto speciale e nelle province autonome di  Trento  e  di  Bolzano
avviene nel rispetto dei loro  statuti  e  delle  relative  norme  di
attuazione e secondo quanto  previsto  dall'art.  27  della  legge  5
maggio 2009, n. 42». 
    Il comma  1  di  quest'ultima  disposizione  stabilisce  che  «le
regioni a statuto speciale e le province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano,  nel  rispetto  degli  statuti   speciali,   concorrono   al
conseguimento degli obiettivi di perequazione e  di  solidarieta'  ed
all'esercizio dei diritti e doveri  da  essi  derivanti,  nonche'  al
patto di stabilita' interno e all'assolvimento degli  obblighi  posti
dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e  modalita'  stabiliti
da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da  definire,  con  le
procedure previste  dagli  statuti  medesimi,  entro  il  termine  di
ventiquattro mesi stabilito per l'emanazione dei decreti  legislativi
di cui all'art. 2 e secondo il principio del graduale superamento del
criterio della spesa storica di cui all'art. 2, comma 2, lettera m)». 
    Non e' esclusa, dunque, un'interpretazione delle disposizioni  in
questione nel senso che la riserva all'erario non operi per le  somme
relative alla provincia di  Trento.  Nel  senso  dell'interpretazione
«adeguatrice» potrebbe far concludere il  principio  di  specialita',
confortato anche da quanto  considerato  nella  sentenza  di  codesta
Corte n. 152 del 2011, che ha ritenuto l'applicabilita'  anche  nella
Regione siciliana  di  norme  simili  a  quelle  qui  impugnate,  che
riservavano all'erario il gettito  di  tributi  compartecipati  dalla
Regione Sicilia, «posto che il d.l.  in  esame  non  contiene  alcuna
formula che possa configurarsi quale clausola di  salvaguardia  delle
attribuzioni delle  Regioni  ad  autonomia  speciale»:  clausola  che
invece, come ora esposto, in questo caso esiste. 
    Tuttavia, la drastica formulazione del comma 3  (secondo  cui  le
maggiori entrate derivanti  dal  presente  comma  sono  integralmente
attribuite allo Stato) e l'assonanza di alcune delle regole del comma
36 con le condizioni che  potrebbero  legittimare  una  riserva  allo
Stato ai sensi dell'art. 9 del d.lgs.  n.  268/1992  (la  limitazione
della durata a cinque anni e la contabilizzazione separata)  inducono
a temere che l'art. 2, commi 3 e 36, possa essere  inteso  nel  senso
della  riserva  allo  Stato  anche  nei  confronti  della  ricorrente
Provincia autonoma. 
    Ove cosi' intese, le norme in questione sarebbero  illegittime  e
lesive delle prerogative della Provincia di Trento. 
    Viene poi in considerazione il  secondo  aspetto  della  presente
impugnazione,relativo all'art. 14 del d.l. n. 138/2011, inserito  nel
Titolo IV, Riduzione dei costi degli apparati  istituzionali,  ed  e'
intitolato Riduzione del numero dei consiglieri e assessori regionali
e relative indennita'. Misure premiali. 
    Il comma 1 dispone che, «per  il  conseguimento  degli  obiettivi
stabiliti nell'ambito del coordinamento della  finanza  pubblica,  le
Regioni, ai fini della collocazione nella classe di enti territoriali
piu' virtuosa di cui all'art. 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio
2011, n. 98, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  15  luglio
2011, n. 111, oltre al  rispetto  dei  parametri  gia'  previsti  dal
predetto  art.  20,  debbono  adeguare,  nell'ambito  della   propria
autonomia statutaria e  legislativa,  i  rispettivi  ordinamenti»  ad
«ulteriori  parametri»,  che  riguardano:  il  numero   massimo   dei
consiglieri regionali, in proporzione alla popolazione regionale;  il
numero massimo degli assessori regionali, in  proporzione  al  numero
dei consiglieri; la riduzione  dell'indennita'  dei  consiglieri;  la
previsione che il trattamento economico dei consiglieri regionali sia
commisurato all'effettiva  partecipazione  ai  lavori  del  Consiglio
regionale; l'istituzione di un Collegio dei revisori  dei  conti;  il
passaggio al sistema previdenziale  contributivo  per  i  consiglieri
regionali. 
    Tale disposizione riguarda le sole Regioni  ordinarie.  Tuttavia,
in base al comma 2, «l'adeguamento ai parametri di cui al comma 1  da
parte delle Regioni a Statuto speciale e delle province  autonome  di
Trento  e  di  Bolzano  costituisce  condizione  per   l'applicazione
dell'art. 27 della legge 5 maggio  2009,  n.  42,  nei  confronti  di
quelle Regioni a statuto speciale e province autonome per le quali lo
Stato, ai sensi del citato art. 27, assicura il  conseguimento  degli
obiettivi  costituzionali  di  perequazione  e  di  solidarieta',  ed
elemento di riferimento  per  l'applicazione  di  misure  premiali  o
sanzionatorie previste dalla normativa vigente». 
    L'art. 14, comma 2, dunque, richiama espressamente  la  Provincia
di  Trento  e,  pretendendo  di  imporre  ad  essa  l'adeguamento  ai
parametri fissati nel primo comma, si pone in contrasto con  numerose
norme statutarie e di attuazione. 
    Anche tale disposizione, ad  avviso  della  ricorrente  Provincia
autonoma, risulta illegittimamente lesiva della propria autonomia. 
 
                            D i r i t t o 
 
1. - Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma  3,  ultimo
periodo, e comma 36, se ritenuti applicabili alla Provincia. 
a)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma  3,   ultimo
periodo, e comma 36, primo periodo. 
    Come sopra esposto, l'art. 2, comma 3, d.l. n.  138/2011  prevede
«l'aumento dell'aliquota di base dell'accisa  sui  tabacchi  lavorati
prevista dall'allegato I al decreto legislativo 26 ottobre  1995,  n.
504 e successive modificazioni», aggiungendo che «l'attuazione  delle
disposizioni del presente comma assicura maggiori entrate  in  misura
non inferiore a 1.500 milioni di euro  annui  a  decorrere  dall'anno
2012» e che «le maggiori entrate derivanti dal  presente  comma  sono
integralmente attribuite allo  Stato».  Si  e'  anche  ricordato  che
l'art. 75 dello Statuto riserva alle Province autonome «i nove decimi
dell'imposta sul consumo dei tabacchi per  le  vendite  afferenti  ai
territori delle due province». 
    In primo  luogo,  e'  da  precisare  che  l'accisa  sui  tabacchi
lavorati prevista dall'allegato I al decreto legislativo  26  ottobre
1995, n. 504, coincide con l'imposta sul consumo dei tabacchi di  cui
all'art. 75  dello  Statuto.  Infatti,  l'art.  1  d.l.  n.  331/1993
stabilisce che i tabacchi lavorati sono sottoposti ad  accisa  (comma
1) e  che  per  accisa  si  intende  «l'imposizione  indiretta  sulla
produzione o sui consumi prevista, dalle vigenti disposizioni, con la
denominazione di imposta di fabbricazione o di consumo». Gli artt. 27
e 28 d.l. n. 331/1993 usano indifferentemente i  termine  «accisa»  e
«imposta di consumo» e l'intero d.l. n.  331/1993  prevede  due  sole
imposte sui tabacchi lavorati: l'Iva e l'accisa. Anche l'art.  1  del
d.lgs. 504/1995 (t.u. sulle accise) precisa che «ai fini del presente
testo unico si intende per: a) accisa: l'imposizione indiretta  sulla
produzione o sul consumo dei prodotti energetici, dell'alcole etilico
e delle bevande alcoliche,  dell'energia  elettrica  e  dei  tabacchi
lavorati». Inoltre,  il  capitolo  1601  dello  stato  di  previsione
dell'entrata del bilancio statale (triennio  2011-2013:  doc.  3)  e'
denominato «imposta sul consumo dei  tabacchi»  e  comprende  appunto
l'accisa sui tabacchi. 
    Stabilito cio', ne risulta chiaramente il contrasto fra l'art. 2,
comma 3, ultimo periodo (qualora ritenuto applicabile alla Provincia)
e l'art. 75,  comma  1,  lett.  c)  dello  Statuto  speciale.  Mentre
quest'ultima  disposizione  riserva  alle  Province  «i  nove  decimi
dell'imposta sul consumo dei tabacchi per  le  vendite  afferenti  ai
territori  delle  due  province»,  la  norma  impugnata   attribuisce
«integralmente ... allo Stato» le  «maggiori  entrate  derivanti  dal
presente comma». E' da notare che la norma impugnata non contiene una
delimitazione temporale della riserva ne' una destinazione  specifica
delle risorse, e  che  il  suo  carattere  di  specialita'  induce  a
ritenere che essa prevalga, in  relazione  all'accisa  sui  tabacchi,
sulla disciplina «generale» di cui all'art. 2, comma 36, prima parte. 
    D'altronde anche il comma 36, primo  periodo,  seppur  differente
rispetto al comma 3, ultimo periodo, risulta contrastante con  l'art.
75  dello  Statuto,   che   riserva   alle   Province   ben   precise
compartecipazioni a tutti i tributi erariali. Esso, infatti,  riserva
all'Erario, per un periodo  di  cinque  anni,  «le  maggiori  entrate
derivanti  dal  presente  decreto»,  per  destinarle  «alle  esigenze
prioritarie di raggiungimento degli  obiettivi  di  finanza  pubblica
concordati in sede europea,  anche  alla  luce  della  eccezionalita'
della situazione economica  internazionale».  Si  rinvia  poi  ad  un
decreto del Ministero dell'economia e delle  finanze,  per  stabilire
«le modalita'  di  individuazione  del  maggior  gettito,  attraverso
separata contabilizzazione». 
    Ne'  e'  possibile  sostenere  che  le  norme   censurate   siano
giustificate in virtu' del d.lgs. n.  268/1992.  Esse,  infatti,  non
rispettano affatto i requisiti posti dall'art. 9 d.lgs.  n.  268/1992
per la riserva all'erario del «gettito derivante da maggiorazioni  di
aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi».  Tali  requisiti  sono
stati sintetizzati dalla  sentenza  di  codesta  Corte  n.  182/2010,
secondo la quale «tale articolo richiede, per la  legittimita'  della
riserva statale, che: a) detta riserva sia giustificata da "finalita'
diverse da quelle di cui al comma  6  dell'art.  10  e  al  comma  1,
lettera b), dell'art. 10-bis" dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992,  e
cioe' da finalita' diverse tanto dal "raggiungimento degli  obiettivi
di riequilibrio della finanza pubblica" (art.  10,  comma  6)  quanto
dalla copertura di "spese  derivanti  dall'esercizio  delle  funzioni
statali delegate alla regione" (art. 10-bis, comma 1, lettera b);  b)
il  gettito  sia  destinato  per  legge  "alla  copertura,  ai  sensi
dell'art.  81  della  Costituzione,  di  nuove  specifiche  spese  di
carattere  non  continuativo  che  non  rientrano  nelle  materie  di
competenza della  regione  o  delle  province,  ivi  comprese  quelle
relative a calamita' naturali";  c)  il  gettito  sia  "temporalmente
delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale
e quindi quantificabile"». 
    L'assenza di tali requisiti e' evidente per  il  gettito  di  cui
all'art. 2, comma 3,  dato  che  mancano  la  destinazione  a  «nuove
specifiche spese di carattere  non  continuativo»,  la  delimitazione
temporale e la contabilita' distinta. Ma anche  il  comma  36,  primo
periodo, non rispetta le  condizioni  poste  dall'art.  9  d.lgs.  n.
268/1992 e riassunte nella sent. n. 182/2010. 
    Infatti, la prima parte  del  comma  36  riserva  all'Erario  «le
maggiori entrate derivanti dal presente decreto» (per un  periodo  di
cinque anni, attraverso separata  contabilizzazione)  per  destinarle
«alle esigenze  prioritarie  di  raggiungimento  degli  obiettivi  di
finanza pubblica concordati in sede europea, anche  alla  luce  della
eccezionalita' della situazione economica internazionale». In  questi
termini, la norma censurata ha la medesima finalita' di cui  all'art.
10, comma 6, d.lgs. n. 268/1992 («raggiungimento degli  obiettivi  di
riequilibrio della finanza pubblica»), il che gia' da se' esclude  la
sussistenza del requisito indicato sub-a) nella sent.  182/2010  (che
la riserva sia giustificata da finalita' diverse da quelle di cui  al
comma 6 dell'art. 10 e al comma  1,  lettera  b),  dell'art.  10-bis»
dello stesso d.lgs. n. 268  del  1992).  Ugualmente  la  disposizione
impugnata non soddisfa il requisito sub-b), in quanto  il  comma  36,
prima parte, non destina le  maggiori  entrate  a  «nuove  specifiche
spese»: e' da ricordare che la sent. 182/2010  fece  salva  la  norma
impugnata  in  quell'occasione   (l'art.   13-bis,   comma   8,   del
decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78) proprio in quanto essa destinava
il gettito dell'imposta «al finanziamento  della  ripresa  economica,
quali: il sostegno alle imprese, anche  attraverso  il  finanziamento
del fondo di garanzia e l'alleggerimento del carico fiscale ...;  gli
interventi sul mercato del lavoro, anche attraverso il  finanziamento
del fondo per l'occupazione ...; il finanziamento degli  investimenti
pubblici,  con  particolare  riguardo  alle  infrastrutture  e   alle
attivita' di ricerca e sviluppo ...; il supporto alle  famiglie,  con
misure di salvaguardia del potere d'acquisto, di tutela  dei  piccoli
risparmiatori,  di   risposta   all'emergenza   abitativa   ...;   il
finanziamento della cooperazione internazionale allo sviluppo ...; il
finanziamento delle opere di ricostruzione dell'Abruzzo». Si  tratta,
come si puo' vedere, di spese e finalita'  ben  diverse  dal  mero  e
generale  «raggiungimento  degli  obiettivi   di   finanza   pubblica
concordati in sede europea». 
    Escluso che il comma 36, prima parte,  possa  trovare  fondamento
nell'art. 9 d.lgs. n. 268/1992, e' anche da escludere che esso  possa
ricondursi all'art. 10 e all'art. 10-bis del medesimo decreto. 
    In primo luogo, abrogato l'art. 78 dello Statuto e  soppressa  la
somma spettante in base ad esso (v. anche l'art. 79, comma  1,  St.),
sono da ritenere inapplicabili le norme attuative dell'art. 78, quale
l'art. 10 d.lgs. n. 268/1992. Questo vale anche per l'art. 10,  comma
6, strettamente connesso alla disciplina dell'accordo (menzionato  in
due punti del comma  6)  relativo  alla  determinazione  della  quota
variabile, ora soppressa. 
    Inoltre, l'art. 10, comma 6, prevedeva un meccanismo  consensuale
per far partecipare le Province «al raggiungimento degli obiettivi di
riequilibrio della finanza pubblica» che e' stato ora  sostituito  da
quelli, sempre consensuali, regolati dall'art. 79: anche sotto questo
profilo, dunque, il meccanismo precedente non risulta piu' operativo.
Conferma espressa di cio' si ricava dal testo attuale  dell'art.  79,
comma 4, secondo cui «le disposizioni statali relative all'attuazione
degli  obiettivi  di  perequazione  e  di  solidarieta',  nonche'  al
rispetto degli obblighi derivanti dal patto  di  stabilita'  interno,
non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province
e sono in ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal  presente
articolo». 
    Qualora, in denegata ipotesi, non si  ritenesse  superato  l'art.
10, comma 6, si dovrebbe perlomeno riconoscere che la  determinazione
della quota in questione dovrebbe pur sempre rispettare il  principio
di leale collaborazione e, in particolare, il  principio  consensuale
che domina le  relazioni  finanziarie  fra  lo  Stato  e  le  Regioni
speciali. In  altre  parole,  anche  venuto  meno  l'accordo  per  la
determinazione della quota variabile, lo  Stato  avrebbe  pur  sempre
dovuto cercare l'accordo con la  Provincia  di  Trento,  non  potendo
unilateralmente alterare le  regole  sulle  compartecipazioni  e  gli
strumenti con cui la Provincia partecipa al risanamento  finanziario,
disciplinati dall'art. 79 dello Statuto. 
    Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari  fra  Stato  e
Regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo,  pienamente
riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale. 
    Cosi', ad es., la sent. n. 82 del 2007 ha  riconosciuto  che  «la
previsione normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto
speciale e  il  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  per  la
determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonche'  dei
relativi pagamenti, deve considerarsi un'espressione» della «speciale
autonomia in materia finanziaria di cui godono le  predette  Regioni,
in forza dei loro statuti» (punto 6 del Diritto); e  nella  sent.  n.
353 del 2004 la Corte ha affermato che il metodo dell'accordo (sempre
per la determinazione delle spese), introdotto  per  la  prima  volta
dalla legge finanziaria per il 1998 e riprodotto in  tutte  le  leggi
finanziarie successivamente  adottate,  deve  essere  tendenzialmente
preferito ad altri, dato che «la necessita'  di  un  accordo  tra  lo
Stato e  gli  enti  ad  autonomia  speciale  nasce  dall'esigenza  di
rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi». 
    Si puo' ricordare anche la sent. n. 39 del 1984, che ha annullato
un atto ministeriale che aveva  unilateralmente  modificato  l'elenco
delle imposte ai fini dell'art. 49 dello Statuto, precisando che  «il
legislatore  statale  ben  potrebbe  intervenire,  se  lo   ritenesse
opportuno, nell'ambito della sua specifica competenza in materia:  ma
dovrebbe farlo, comunque, dopo  aver  sentito  la  Regione  (art.  65
Statuto Friuli-Venezia Giulia) e avendo i poteri per  mettere  ordine
nella complessa vicenda senza turbare i delicati  rapporti  coll'Ente
Regione». 
    Pertinente e' anche il richiamo alla sent. n. 98 del 2000, che ha
giudicato di alcune norme  legislative  statali  che  disponevano  la
riserva  a  favore  dell'erario  delle  entrate  derivanti  da  altre
disposizioni e che erano  contestate  per  violazione  dello  Statuto
siciliano  e  delle  relative  norme  di  attuazione.  La  Corte   ha
riconosciuto l'esistenza del «principio ... di leale cooperazione fra
Stato e Regione, che domina le relazioni fra i livelli di Governo la'
dove si verifichino, come in queste ipotesi accade, interferenze  fra
le  rispettive  sfere  e  i  rispettivi  ambiti  finanziari»,  e   ha
sottolineato che «sono espressioni significative di tale esigenza  le
norme di attuazione di  altri  statuti  speciali,  le  quali,  a  tal
proposito, contemplano procedimenti cui sono chiamate  a  partecipare
le Regioni». La Corte ha, dunque, statuito  che  le  norme  impugnate
dovevano prevedere «procedimenti non unilaterali, ma che  contemplino
una partecipazione della Regione direttamente interessata». 
    Il principio consensuale e' stato ribadito piu'  di  recente,  in
relazione alla Provincia di  Trento,  dalla  sent.  n.  133/2010.  La
Provincia aveva impugnato l'art. 9-bis, comma 5, d.l. n. 78/2009, che
attribuiva al Presidente del Consiglio  dei  ministri  il  potere  di
fissare «i criteri per la  rideterminazione,  a  decorrere  dall'anno
2009, dell'ammontare dei proventi  spettanti  a  regioni  e  province
autonome, compatibilmente con gli statuti di autonomia delle  regioni
ad autonomia speciale e delle citate province autonome, ivi  compresi
quelli afferenti alla compartecipazione ai tributi erariali statali».
La Corte ha accolto le questioni sollevate nel ricorso, ritenendo che
tale norma incidesse sui rapporti  finanziari  intercorrenti  tra  lo
Stato, la Regione e le Province autonome,  e  che  «pertanto  avrebbe
dovuto essere approvata con il procedimento previsto dal citato  art.
104 dello statuto speciale, ove e' richiesto  il  necessario  accordo
preventivo di Stato e Regione». 
    In effetti, e' assolutamente inaccettabile che lo Stato, con  una
fonte  primaria  unilateralmente  adottata,  alteri  in  modo   cosi'
rilevante l'assetto dei rapporti finanziari tra  Stato  e  Provincia,
laddove il principio consensuale e' da tempo riconosciuto  in  questa
materia  ed  e'  stato  ribadito  proprio  con  la  recente   riforma
statutaria. 
    Inoltre, la norma impugnata  non  rispetta  l'art.  10,  comma  6
(sempre nella denegata ipotesi che essi  sia  ritenuto  applicabile),
anche perche' riserva all'erario tutte «le maggiori entrate»,  mentre
la norma di attuazione limita ad «una quota del  previsto  incremento
del  gettito  tributario»  la  possibilita'   di   destinazione   «al
raggiungimento  degli  obiettivi  di   riequilibrio   della   finanza
pubblica». 
    Ancora, l'art. 2, comma 36, primo periodo del d.l. n. 138/2011 si
pone in contrasto con l'art. 79 dello Statuto, che  -  come  visto  -
definisce   le   modalita'   con   cui   le    Province    concorrono
«all'assolvimento  degli  obblighi  di  carattere  finanziario  posti
dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle
altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite  dalla
normativa statale» (comma 1), e aggiunge che «le  misure  di  cui  al
comma 1 possono essere modificate  esclusivamente  con  la  procedura
prevista dall'art. 104  e  fino  alla  loro  eventuale  modificazione
costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica  di  cui
al comma 1» (comma 2), e che, «al fine di assicurare il concorso agli
obiettivi di finanza pubblica, la regione e  le  province  concordano
con il Ministro dell'economia e delle finanze gli  obblighi  relativi
al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi  di  bilancio
da conseguire in ciascun periodo» (comma 3). 
    Sia il comma 3 («Non si  applicano  le  misure  adottate  per  le
regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale»)  che
il comma 4, poi, stabiliscono la non applicazione alle Province delle
norme statali che, in questa materia, valgono per altre Regioni. 
    Poiche' l'art. 2, comma  36,  prima  parte  riserva  le  maggiori
entrate «alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli  obiettivi
di finanza  pubblica  concordati  in  sede  europea»,  ne  deriva  la
violazione delle norme - sopra citate - contenute nell'art.  79  St.,
che configurano un sistema completo di concorso delle  Province  agli
obiettivi di finanza pubblica, non derogabile se non con le modalita'
previste dallo Statuto. 
    Infine, proprio perche' agli artt. 75 e 79 St. si e' derogato con
una fonte primaria «ordinaria»  (in  realta',  un  d.l.  convertito),
l'art. 2, commi 3 e 36, prima parte, violano anche gli artt. 103 (che
prevede il procedimento di revisione costituzionale per le  modifiche
dello Statuto), 104 (che prevede la possibilita'  di  modificare  «le
norme del titolo VI ... con legge ordinaria dello Stato  su  concorde
richiesta del Governo e, per quanto di rispettiva  competenza,  della
regione o delle due  province»)  e  l'art.  107  (che  disciplina  la
speciale procedura per l'adozione delle  norme  di  attuazione  dello
Statuto) dello Statuto speciale. 
b) Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma  36,  secondo
periodo. 
    Il secondo periodo del comma 36  dell'art.  2  dispone  che  «con
apposito decreto del Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  da
emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in  vigore  della
legge  di  conversione  del  presente  decreto,  sono  stabilite   le
modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso  separata
contabilizzazione». Si tratta dunque di una norma  volta  a  regolare
l'attuazione del primo periodo : la quale, pertanto, e'  affetta  dai
medesimi vizi sopra illustrati. 
    In  subordine,  essa  e'  poi   censurabile   specificamente   ed
autonomamente sotto  un  ulteriore  aspetto,  cioe'  per  la  mancata
previsione dell'intesa con la Provincia di  Trento  in  relazione  al
decreto che stabilisce le modalita'  di  individuazione  del  maggior
gettito. Infatti, poiche' si tratta di  intervenire  in  relazione  a
risorse che spetterebbero alla Provincia, in una materia dominata dal
principio  consensuale,  risulta  specificamente   illegittima,   per
violazione del principio di leale collaborazione, la previsione di un
decreto ministeriale. senza intesa con la Provincia di Trento. 
c) Illegittimita' costituzionale  dell'art.  2,  comma  36,  terzo  e
quarto periodo. 
    Il  terzo  ed  il  quarto  periodo  del  comma  36  dell'art.   2
dispongono,  rispettivamente,  che  «a  partire  dall'anno  2014,  il
Documento di economia  e  finanza  conterra'  una  valutazione  delle
maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attivita'  di
contrasto all'evasione» e che «dette maggiori entrate,  al  netto  di
quelle necessarie al mantenimento del pareggio di  bilancio  ed  alla
riduzione del debito, confluiranno  in  un  Fondo  per  la  riduzione
strutturale  della  pressione  fiscale  e  saranno  finalizzate  alla
riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle  famiglie
e sulle imprese». 
    Il quarto periodo risulta, ad avviso della  ricorrente  Provincia
autonoma, del tutto illegittimo, mentre il terzo periodo e' impugnato
solo in  quanto  l'attivita'  di  rilevazione  in  esso  prevista  e'
finalizzata all'attuazione del quarto periodo. 
    Si  tratta,  infatti,  di  maggiori  entrate  che  non   derivano
dall'aumento delle aliquote o dall'introduzione di nuovi tributi,  ma
semplicemente dalla lotta all'evasione, cioe'  da  un  piu'  rigoroso
accertamento degli obblighi tributari preesistenti. 
    Le maggiori entrate che  ne  derivano  sono  pur  sempre  entrate
connesse alle aliquote e ai tributi esistenti, quelli il cui  gettito
spetta per i nove  decimi  alla  Provincia  secondo  le  disposizioni
statutarie. 
    Manca dunque qualunque fondamento per la destinazione ad un Fondo
statale di tali maggiori entrate, che risulta  pertanto  in  frontale
contrasto con lo Statuto. 
    La fondatezza di tale censura e' confermata anche  dalla  recente
sent. n. 152/2011, che ha dichiarato «costituzionalmente  illegittimo
l'art. 1, comma 6, del d.l. n.  40  del  2010,  nella  parte  in  cui
stabilisce  che  le  entrate  derivanti  dal  recupero  dei   crediti
d'imposta "sono riversate all'entrata  del  bilancio  dello  Stato  e
restano  acquisite  all'erario",  anche  con  riferimento  a  crediti
d'imposta inerenti a tributi che avrebbero dovuto essere riscossi nel
territorio della Regione siciliana». La sentenza stabilisce  che  «e'
alla Regione siciliana ... che spetta, non solo provvedere  al  detto
recupero, ma anche acquisire il gettito da esso derivante, posto  che
tale gettito, lungi  dal  costituire  frutto  di  una  nuova  entrata
tributaria erariale, non e' altro che l'equivalente del  gettito  del
tributo previsto (al di fuori dei  casi  nei  quali  e'  concesso  il
credito d'imposta), che compete alla Regione sulla base e nei  limiti
dell'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965». 
    La medesima sent. n. 152/2011 ha poi annullato  l'art.  3,  comma
2-bis, d.l. n. 40/2010, in  quanto  «la  previsione  della  esclusiva
destinazione a fondi erariali del gettito derivante dalla definizione
agevolata di tali controversie inerenti alla contestazione di tributi
erariali  che  avrebbero  dovuto  essere  riscossi   nel   territorio
regionale si pone in contrasto con il principio  di  cui  all'art.  2
delle norme di attuazione, non potendo peraltro neppure ritenersi che
le entrate derivanti dalla  richiamata  definizione  agevolata  delle
controversie tributarie siano «entrate nuove». 
    Per quanto riguarda poi il terzo periodo del comma  36,  esso  e'
affetto dagli stessi vizi  appena  illustrati  (essendo  strettamente
collegato al quarto periodo). 
    Inoltre, ove in denegata ipotesi dovesse risultare  legittimo  il
trattenimento delle somme in questione al bilancio dello Stato,  esso
risulterebbe  illegittimo  per  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione, perche' la  quantificazione  delle  maggiori  entrate
derivanti dalla lotta all'evasione viene operata senza intesa con  la
Provincia di Trento, benche' tale quantificazione incida direttamente
e negativamente sulla dimensione  delle  risorse  che  spettano  alla
Provincia. 
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 2. 
    L'art. 14, comma 1, subordina la  collocazione  di  ogni  singola
Regione ordinaria nella classe di enti territoriali piu' virtuosa  di
cui all'art. 20, comma 3, del decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98
convertito, con modificazioni, dalla legge 15  luglio  2011,  n.  11,
all'ottemperanza ad una serie di criteri e parametri riguardanti:  il
numero  massimo  dei  consiglieri  regionali,  in  proporzione   alla
popolazione regionale (lett. a); il numero  massimo  degli  assessori
(lett. b); la riduzione dell'indennita' dei consiglieri (lett. c); la
previsione che il trattamento economico dei consiglieri regionali sia
commisurato all'effettiva  partecipazione  ai  lavori  del  Consiglio
regionale (lett. d); l'istituzione di un Collegio  dei  revisori  dei
conti (lett. e); il passaggio al sistema  previdenziale  contributivo
per i consiglieri regionali (lett. f). 
    In base all'art. 14, comma 2, d.l. n. 138/2011, «l'adeguamento ai
parametri di cui al comma 1 da parte delle Regioni a Statuto speciale
e  delle  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  costituisce
condizione per l'applicazione dell'art. 27 della legge 5 maggio 2009,
n. 42, nei confronti di quelle Regioni a statuto speciale e  province
autonome per le quali lo Stato, ai sensi del citato art. 27, assicura
il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e  di
solidarieta', ed elemento di riferimento per l'applicazione di misure
premiali o sanzionatorie previste dalla normativa vigente». 
    L'art. 14, comma 2, dunque, richiama espressamente  la  Provincia
di Trento e pretende di imporre ad essa  l'adeguamento  ai  parametri
fissati nel primo comma. 
    Tale imposizione e' tuttavia costituzionalmente  illegittima  per
le ragioni di seguito esposte. 
    Premesso che la disposizione del comma 2 (come quella del comma 1
per le Regioni ordinarie) e' chiaramente una norma sanzionatoria -  e
non una  norma  premiale  come  vorrebbe  far  intendere  la  rubrica
dell'articolo  -  e'  in  primo  luogo   clamorosamente   illegittima
l'imposizione del dovere di  adeguamento  al  numero  di  consiglieri
previsto dal comma 1, per violazione dell'art. 48 dello Statuto. 
    Questo infatti dispone  che  «ciascun  Consiglio  provinciale  e'
eletto a suffragio universale, diretto  e  segreto,  e'  composto  di
trentacinque consiglieri e dura in carica cinque anni». 
    Sembra impossibile dover ricordare che lo Statuto  e'  una  legge
costituzionale dello Stato, e che dunque ne' la legge  ordinaria  ne'
atti di qualunque natura della  stessa  Provincia  autonoma  sono  in
grado di mutarlo. 
    Tutti gli altri doveri di adeguamento imposti dall'art. 14, comma
2, riguardano materie riservate alla speciale legge  di  integrazione
statutaria (corrispondente per le Regioni speciali allo statuto delle
Regioni  ordinarie)  prevista  dall'art.  47,  comma  secondo,  dello
Statuto,  approvata  a  la  maggioranza   assoluta   e   chiamata   a
disciplinare «la forma di governo della provincia». 
    In base all'art. 47, comma secondo, la potesta'  di  integrazione
statutaria e' soggetta esclusivamente (oltre che  a  quanto  disposto
dallo stesso Statuto) al limite della armonia con la Costituzione, ai
principi dell'ordinamento giuridico ed  al  rispetto  degli  obblighi
internazionali. 
    Appare dunque evidente che l'imposizione, diretta o indiretta, di
qualunque ulteriore limite,  sia  pure  sotto  forma  di  «onere»  di
adeguamento, costituisce una illegittima interferenza  nell'autonomia
costituzionalmente  garantita   alla   Provincia,   con   conseguente
illegittimita' costituzionale dell'intero art. 14, comma 2. 
    Ugualmente  illegittima  appare  l'impugnata   disposizione   ove
considerata  dal  punto  di  vista   della   lesione   dell'autonomia
finanziaria garantita dal Titolo VI dello Statuto  nonche'  dall'art.
119 della Costituzione. 
    La  disposizione  qui  impugnata  viola  l'autonomia  finanziaria
comminando conseguenze finanziariamente negative a comportamenti  che
costituiscono esercizio dei diritti statutari della Provincia. 
    Ne' la disposizione impugnata potrebbe essere  giustificata  come
principio di coordinamento della finanza pubblica. 
    Lo esclude, sul piano generale  il  carattere  dettagliato  delle
misure imposte, che vanno a limitare voci minute di spesa e,  dunque,
non costituiscono  principi  idonei  a  far  scattare  un  dovere  di
adeguamento.  Con  specifico   riferimento   alla   riduzione   delle
indennita' di organi  regionali,  si  puo'  ricordare  che  la  Corte
costituzionale ha gia' dichiarato illegittimo  l'art.  1,  comma  54,
legge n. 266/05, che riduceva del 10% le  indennita'  corrisposte  ai
titolari degli organi politici regionali (sentenza n. 157 del 2007). 
    Per quanto riguarda la Provincia di Trento, oltre che l'art.  119
Cost.  risulta  specificamente  violato  l'art.  79  dello   Statuto,
introdotto dalla legge n. 191 del  2009  con  la  procedura  prevista
dall'art.  104  dello  Statuto,  che  disciplina  esaustivamente   il
concorso  della  Provincia  «al  conseguimento  degli  obiettivi   di
perequazione e di solidarieta' e  all'esercizio  dei  diritti  e  dei
doveri dagli stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi
di carattere  finanziario  posti  dall'ordinamento  comunitario,  dal
patto di stabilita' interno e dalle  altre  misure  di  coordinamento
della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale» (comma  1),
e  che  per  il   rimanente   esonera   espressamente   le   Province
dall'applicazione delle misure di coordinamento che  valgono  per  le
altre Regioni. 
    Il comma 2, infatti, dispone che «le misure di  cui  al  comma  1
possono essere modificate esclusivamente con  la  procedura  prevista
dall'art. 104 e fino alla loro eventuale modificazione  costituiscono
il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui  al  comma  1»,
fra i quali «l'assolvimento degli obblighi di  carattere  finanziario
posti ... dalle altre misure di coordinamento della finanza  pubblica
stabilite dalla normativa statale». 
    Il comma 3 aggiunge che «non si applicano le misure adottate  per
le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale» ed
il  comma  4  ribadisce  che  «le   disposizioni   statali   relative
all'attuazione degli obiettivi di  perequazione  e  di  solidarieta',
nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di  stabilita'
interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle
province e sono in  ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal
presente articolo». 
    Infine, lo stesso comma 4 precisa, per i rapporti  con  le  norme
statali che non siano direttamente misure di  finanza  pubblica,  che
«la regione e le province provvedono alle finalita' di  coordinamento
della  finanza  pubblica   contenute   in   specifiche   disposizioni
legislative  dello  Stato,  adeguando  la  propria  legislazione   ai
principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4 e 5». 
    Dunque, poiche' l'art. 14,  comma  1,  contiene  norme  che  sono
espressamente volte al coordinamento finanziario,  l'applicazione  di
esse alla Provincia e' esclusa dai primi tre commi dell'art. 79 St. 
    L'art. 14, comma 1, contempla concrete misure  di  riduzione  dei
costi di funzionamento degli organi rappresentativi regionali che  lo
Stato pone come  condizione  per  la  valutazione  della  virtuosita'
dell'ente ai fini della determinazione del concorso agli obiettivi di
finanza pubblica. In questo senso, la disposizione introdurrebbe  per
la Provincia un ulteriore elemento  di  determinazione  del  concorso
agli obiettivi di finanza pubblica diverso ed aggiuntivo  rispetto  a
quello previsto dal predetto art. 79, e quindi in sua violazione.  Il
generico riferimento alle misure  premiali  o  sanzionatone  previste
dalla normativa vigente introduce una condizione di  virtuosita'  che
e' in contrasto con il sistema delle  relazioni  finanziarie  con  lo
Stato definito nel nuovo Titolo VI dello Statuto, ed  in  particolare
nel predetto art. 79. 
    Il contrasto tra l'art. 14, comma 2,  e  l'art.  79  St.  implica
anche la violazione degli artt. 103, 104 e 107 dello  Statuto  e  del
principio  di  leale  collaborazione,  perche'  una  fonte   primaria
ordinaria,  adottata  unilateralmente,  ha  derogato  ad  una   norma
statutaria, adottata con la speciale procedura di  cui  all'art.  104
St. 
    In subordine, una ulteriore specifica censura la  Provincia  deve
svolgere in  relazione  alla  disciplina  relativa  al  Collegio  dei
revisori dei conti, che dovrebbe essere istituito a decorrere dal  1°
gennaio 2012 «quale organo di vigilanza sulla regolarita'  contabile,
finanziaria ed economica della gestione dell'ente». 
    Il comma 1, lett. e)  prevede  che  «il  Collegio,  ai  fini  del
coordinamento della  finanza  pubblica,  opera  in  raccordo  con  le
sezioni regionali di controllo della  Corte  dei  conti»,  e  che  «i
componenti di tale Collegio sono scelti  mediante  estrazione  da  un
elenco, i cui iscritti devono  possedere  i  requisiti  previsti  dai
principi contabili internazionali, avere  la  qualifica  di  revisori
legali...,  ed  essere  in  possesso  di   specifica   qualificazione
professionale  in  materia  di  contabilita'  pubblica   e   gestione
economica e finanziaria anche  degli  enti  territoriali,  secondo  i
criteri individuati dalla Corte dei conti». 
    In tal modo l'art. 14 assimila del  tutto  le  Province  autonome
alle Regioni ordinarie, mentre il ruolo e le funzioni della Corte dei
conti nelle province sono diversi rispetto al resto del territorio  e
sono compiutamente  definiti  dal  d.P.R.  n.  305/1988.  L'art.  14,
dunque, sotto questo profilo invade una settore di  competenza  delle
norme di attuazione, violando l'art. 107 St. ed il d.P.R. n. 305/1988
(v. soprattutto gli artt. 2, 6 e  10,  che  individuano  le  funzioni
della Corte dei conti in relazione  alla  Provincia  di  Trento).  In
particolare, la previsione del dovere del  Collegio  di  operare  «in
raccordo con le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti»
viola l'art. 10, comma 3-ter,  d.P.R.  n.  305/1988  (introdotto  dal
d.lgs. n. 166/2011), che considera come facoltativa la  richiesta  di
ulteriori forme di collaborazione alle sezioni della Corte dei  conti
(3-ter. «La Regione e le Province possono richiedere ulteriori  forme
di collaborazione alle sezioni della Corte dei conti  ai  fini  della
regolare  gestione  finanziaria  e   dell'efficienza   ed   efficacia
dell'azione amministrativa, nonche' pareri in materia di contabilita'
pubblica anche per conto degli enti locali, singoli  o  associati,  e
degli altri enti e organismi individuati dall'art. 79, comma  3,  del
decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670»). 
    Ancora piu' invasiva e' la previsione del potere della Corte  dei
conti di definire  i  criteri  di  qualificazione  professionale  dei
membri del Collegio: si tratta, in sostanza, di un  potere  normativo
secondario in materia di competenza  provinciale  (ordinamento  degli
uffici: art. 8, n. 1, St.), dato che il Collegio  sarebbe  un  organo
interno della Provincia. E' da precisare che  i  componenti  di  tale
Collegio gia' «devono possedere i  requisiti  previsti  dai  principi
contabili internazionali» e «avere la qualifica di revisori legali di
cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39» (art. 14, comma 1,
lett. e) d.l. n. 138/2011),  per  cui  la  «specifica  qualificazione
professionale  in  materia  di  contabilita'  pubblica   e   gestione
economica e  finanziaria  anche  degli  enti  territoriali»  dovrebbe
essere  regolata  dalla  Provincia,  nell'esercizio   della   propria
competenza in materia di organizzazione interna. 
    Comunque, anche qualora - in denegata ipotesi - si ritenesse  che
tale profilo attenga alle «professioni», si tratterebbe pur sempre di
materia concorrente (art. 117, comma 3, Cost. e art. 10, legge  Cost.
n. 3/2001), per cui sarebbe pur sempre illegittima l'attribuzione  di
un potere normativo secondario ad un organo  statale,  per  contrasto
con l'art. 117, comma 6, Cost. e l'art. 2  d.lgs.  n.  266/1992,  che
Ritiene solo gli atti legislativi statali idonei  a  far  sorgere  un
dovere di adeguamento. 
    L'art. 2 d.lgs. n. 266/1992 e' violato anche perche'  l'art.  14,
comma 2, non pone  un  termine  per  l'adeguamento,  per  cui  e'  da
ritenere che valgano i termini fissati dal comma 1, alcuni dei  quali
(lett. e), d) ed e) sono inferiori ai sei mesi previsti  dall'art.  2
d.lgs. n. 266/1992.